Smart working: giusto regolarlo per contratto, ma lo strumento va incentivato
«Non siamo alla fine dello smart working e questo deve essere chiaro a tutti, sia alle aziende private che nel pubblico. Siamo alla fine dello smart working come strumento per la gestione dell’emergenza sanitaria, con tutti i rischi e le opportunità che questo determina». Il segretario generale della Cgil Friuli Venezia Giulia Villiam Pezzetta inquadra così la nuova disciplina del lavoro agile che scatterà dal 1° settembre: «In realtà – precisa – non è un nuovo regime ma un ritorno al passato: come avveniva prima della pandemia, lo smart working non può più essere imposto unilateralmente dal datore di lavoro, privato o pubblico, ma deve essere regolamentato da accordi individuali o collettivi. Dal punto di vista normativo si torna indietro, ma con la consapevolezza che la pandemia ha contribuito a incentivare notevolmente l’appeal del lavoro agile, soprattutto tra i lavoratori ma in diversi casi, e in particolare in alcuni settori, anche tra le aziende. Da qui la consapevolezza che questa sarà una dei temi e dei banchi di prova più importanti per la contrattazione. Se è vero infatti che lo smart working non può essere invocato come un diritto, è giusto e doveroso battersi per cambiare l’organizzazione del lavoro e consentire un maggiore ricorso a questo strumento. Per riuscirci bisogna definire una serie di aspetti che non possono e non debbono essere affidati esclusivamente all’arbitrio del datore di lavoro: la durata dello smart working, l’alternanza tra il lavoro agile e quello in presenza, la disciplina dei riposi, degli straordinari, il diritto alla disconnessione, la compensazione dei costi sostenuti dai lavoratori, l’eventuale diritto a benefit come il buono pasto e altri rimborsi, l’esercizio dei diritti sindacali».
Diversi settori, come il credito e le assicurazioni, hanno già affrontato questi aspetti nei rispettivi contratti nazionali, ma esistono anche accordi a livello di gruppo (vedi Electrolux) o azienda. Lo strumento prevalente, in ogni caso, resta quello degli accordi individuali, peraltro sburocratizzati dal decreto semplificazioni. «La strada da fare è tanta – rimarca Pezzetta – anche sul piano culturale, perché molte realtà, tanto nel pubblico come nel privato, non sono pronte a una sfida che richiede investimenti e una diversa modalità di organizzazione del lavoro, basata non sul controllo “fisico” del lavoratore, ma sulla definizione di obiettivi e su una maggiore autonomia e responsabilizzazione dei dipendenti. A confermarlo i dati sul ricorso allo smart working, che vedono l’Italia molto al di sotto della media europea».
Tra i nodi che restano irrisolti quello dei lavoratori fragili. «La Cgil – spiega ancora Pezzetta – è favorevole alla scelta di individuare nella contrattazione la strada maestra per la regolamentazione dello smart working. Crediamo però che possa e debba essere incentivato con adeguate risorse l’accesso allo smart working per i lavoratori fragili e per quelli con figli under 14: anche per loro, dal 1° settembre, il ricorso al lavoro agile sarà possibile solo in presenza di accordi. Il decreto di agosto sulla conciliazione tra vita e lavoro ha portato delle novità positive, ma crediamo sia necessario rafforzare gli incentivi e le misure di conciliazione».