Occupazione, quello che i numeri non dicono

E’ un mercato del lavoro sotto stress, anche se dalle grandi cifre, per il momento, arrivano segnali di tenuta. Il segretario generale della Cgil Friuli Venezia Giulia Villiam Pezzetta sintetizza così il quadro occupazionale della regione. «Cresce la preoccupazione – spiega Pezzetta – per l’impatto del caro energia e della crisi della componentistica. La spada di Damocle degli stop and go continua a pendere sia su grandi realtà come Abs o Electrolux e accentua l’incertezza di una ripresa che dati alla mano non si è fermata, ma in un contesto molto più fragile rispetto a un anno fa, quando pure il ricorso agli ammortizzatori era più spinto e gli strascichi della pandemia su alcuni settori si facevano ancora sentire in modo pesante».
Gli indicatori generali dicono che l’economia e il lavoro non si sono fermati. I dati Istat del primo trimestre 2022 parlavano infatti addirittura di un aumento di 6mila occupati rispetto al dato medio 2021, e la cassa integrazione si mantiene tuttora su livelli bassi. Nei primi cinque mesi del 2021 ne erano stati autorizzati oltre 25 milioni di ore, tra gennaio e maggio di quest’anno siamo a 5,5 milioni tra Cig e fondi di integrazione salariale Inps. Il ricorso agli ammortizzatori, in sostanza, si è normalizzato su valori pre-pandemici, con un calo dell’80% rispetto all’anno precedente. Ma le prospettive non sono quelle di una solida ripresa come quella che si intravedeva la scorsa estate: i problemi della supply chain sono stati aggravati dalla guerra, e sommati al caro energia ci danno un quadro generale di una domanda ancora sostenuta nei settori chiave, dal legno alla meccanica, ma con margini operativi più bassi e una bassa visibilità. Senza dimenticare le forti incognite sul fronte del 110%, che è stato uno dei fattori chiave della forte ripresa della filiera della casa e un volano per tutto il manifatturiero».
Le altre grandi incognite riguardano direttamente il mondo del lavoro e si chiamano precarietà e questione salariale. «Purtroppo – spiega Pezzetta – mancano o sono carenti indicatori e rilevazioni che ci forniscano anche un quadro qualitativo del mercato del lavoro. Per essere considerati occupati ai fini delle rilevazioni Istat bastano poche ore di lavoro nelle ultime settimane, e i pochi indicatori più “fini” che abbiamo, come ad esempio il part-time, ci dicono che il lavoro povero aumenta, aggravando una questione salariale che, con un’inflazione salita all’8%, riguarda anche i lavoratori a tempo pieno e indeterminato, i cosiddetti tutelati. E’ positivo che, grazie anche al pressing dei nostri sindacati di categoria e delle Rsu, in molte aziende si sia riusciti a ottenere il bonus carburante e anche il bonus da 200 euro del Governo è un aiuto di fronte alla crescita del caro vita, ma è evidente che questo non basta, così come non basterebbe un maggiore ricorso agli sgravi fiscali. Esiste una questione salariale che le imprese non possono ignorare o respingere al mittente e che sarà sicuramente uno dei grandi temi dell’autunno, sicuramente il primo nell’agenda del nostro Congresso, che scatterà a fine agosto».
E come replicare alle imprese, che indicano invece nella carenza di manodopera il problema numero uno del mercato del lavoro? «Esiste sicuramente – commenta Pezzetta – una maggiore carenza di figure non solo specializzate, ma anche generiche. E’ legata anche a fattori demografici, considerato che il calo dei residenti riguarda soprattutto le fasce d’età lavorative: la popolazione compresa tra i 18 e i 65 anni, tanto per fornire un dato, è calata di 40mila persone tra il 2012 e il 2022. Un dato impressionante, effetto anche della recessione post 2008, che ha frenato i flussi migratori. C’è questo, c’è il miss-match che continua a caratterizzare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro, nonostante qualche passo avanti ci sia stato, ma c’è anche una questione salariale, che emerge sia nel privato che nel pubblico, si pensi alla sanità. Non è un caso se qualcosa come 3mila giovani, quasi tutti con livello d’istruzione alto o medio alto, lasciano ogni anno la nostra regione. Sono risorse che in molti casi rischiamo di perdere, forze fresche per le imprese, per il rinnovo della pubblica amministrazione, dei nostri servizi alla persona e della classe dirigente. Anche su questo le imprese dovrebbero riflettere: finché la principale porta d’ingresso al mercato del lavoro resta quella della precarietà e delle paghe basse, questo esodo non solo sarà strutturale, ma è anche destinato a rafforzarsi».