Perché siamo a fianco degli studenti

È davvero raggelante l’intervista rilasciata al “Quotidiano nazionale” dall’ex Presidente della Repubblica (e Ministro degli Interni nel periodo al quale essa si riferisce), Franceso Cossiga. Truculenta nei toni, esprime una violenza verbale nei confronti degli studenti e degli insegnanti, da spaventare e picchiare, che francamente fa rabbrividire. E getta una luce ancora più inquietante sui fatti di allora e sul ruolo di agenti provocatori nel creare incidenti e seminare violenze.

Lascia allibiti il fatto che l’ex Presidente proponga all’attuale Ministro degli Interni di adottare gli stessi metodi: temo non si tratti solo delle conseguenze di una tormentata senescenza. In questo contesto non aiutano i toni del Presidente del Consiglio, che poi si affretta a smentire l’evidenza delle proprie dichiarazioni – anche quando sono riproducibili in audio e video – con acrobazie logiche alle quali purtroppo buona parte degli italiani si è abituata. Sono francamente preoccupato, come segretario generale di un’organizzazione come la Cgil , che ha sempre fatto della difesa della legalità una sua bandiera, fino a sacrificare alcuni dei suoi uomini migliori, come Guido Rossa, alla difesa della democrazia. E lo sono anche come uno dei tanti genitori i cui figli hanno partecipato, con impegno e passione civile, alle manifestazioni contro i tagli della Gelmini.

Confido tuttavia nella ragionevolezza e nell’equilibrio che le forze dell’ordine hanno dimostrato nella nostra regione rispetto alle manifestazioni studentesche e che sono sempre state una costante nell’accompagnare e seguire le tante manifestazioni sindacali. Lo dico perché  le manifestazioni non finiranno con l’approvazione del decreto. Da parte nostra continueremo con lo sciopero contro i tagli all’Università di metà novembre, in preparazione del quale abbiamo indetto un’assemblea all’Università di Trieste il prossimo 6 novembre. Ma continueranno anche le lotte degli studenti, che non vedo affatto rassegnati anche dopo l’approvazione del decreto “tagliascuola”, perché esistono modi e spazi per contestarne l’applicazione. Abbiamo sostenuto tutte le loro manifestazioni, silenziosamente e con rispetto della loro autonomia , li abbiamo accolti in tanti alle nostre: è stato bello vedere ragazzi, lavoratori e pensionati assieme, in tanti, al presidio in piazza Unità il 30 ottobre.

Continueremo a sostenere le loro lotte, certi che si manterranno nei binari della legalità, dell’impegno civile e della pacatezza. Lo faremo non per volontà di “strumentalizzarli”, come insinua qualcuno poco attento alla loro consapevolezza civile e maturità, ma semplicemente perché condividiamo fino in fondo le ragioni della loro lotta e la passione civile e la voglia di partecipazione che esprime. Quelli della Gelmini “sono tagli, non una riforma”, ha affermato una persona non sospetta di simpatie a sinistra come Emma Marcegaglia.

Sarebbero invece stati necessari investimenti, come hanno ricordato in questi giorni un imprenditore come Carlo De Benedetti e il vicedirettore di Bankitalia, Ignazio Visco. Per ringiovanire il corpo docente dell’ Università e premiare le competenze e non le parentele attraverso una modifica profonda dei sistemi di reclutamento. Per diffondere e rafforzare la ricerca di base, presupposto indispensabile alla sua autonomia, e per promuovere una ricerca applicata di alto livello. Per rendere più competitivo in questo modo il sistema-paese. E per preparare il ricambio della classe dirigente.

I tagli produrrebbero invece effetti opposti, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’università, che tra 3-4 anni, come ha affermato il rettore di Trieste, non sarebbe in grado neppure di pagare gli stipendi. Se non sarà bloccato, questo modello porterà alla fuga dei giovani migliori e sarà in grado di fornire ai giovani soltanto il livello di preparazione indispensabile per accedere ai livelli più bassi del mercato del lavoro, costringendo le famiglie che vorranno accrescere la preparazione dei loro figli a ricorrere al privato. Dunque, la selezione non si farà sulle capacità, bensì sul censo, alla faccia della tanto celebrata meritocrazia. Pur nella crisi delle ideologie, come definirla se non una scelta di “classe”?