Identità e territorio: no alle feste che dividono

Troppo facile dire che era tutto già scritto. Dopo la Festa della Patrie del  Friul, ecco apparire quella della Venezia Giulia. E c’è già chi rivendica, a Trieste e Pordenone, analoghe celebrazioni. Poi si potrebbe passare, all’interno del territorio di Udine, a quelle della Carnia e della Bassa. Non basta. Ci sono le specificità linguistiche: in Canal del Ferro si parla tedesco, a Trieste e nel Carso, sloveno. Come negare un riconoscimento a quelle culture?
Siamo una Regione di neanche un milione e mezzo di abitanti e nella nostra storia le specificità, che possono diventare una ricchezza, sono state spesso agitate le une contro le altre. La Cgil crede che occorra fare il contrario. Quelle linguistiche e culturali che hanno una solida storia vanno valorizzate: lo abbiamo detto, ai tempi della Giunta Illy, per quanto riguarda la lingua e la cultura friulana, così come abbiamo respinto, allora, il tentativo di individuare un’improbabile “par condicio” che attribuisse ai dialetti (triestino, gradese, “bisiaco”, muggesano) una dignità di lingua che non hanno. Sul piano politico-culturale va affrontata una riflessione sull’autonomismo friulano e sulle sue radici che rimandano ad un allargamento della partecipazione e della democrazia e va contrapposta alle rivendicazioni del separatismo triestino incarnate dal Movimento per Trieste Libera. Proprio quest’ultima esperienza dimostra del resto come far coincidere l’identità di un territorio con il territorio stesso possa essere un errore gravissimo.
L’identità è un concetto che ha a che fare prima di tutto con l’individuo: personalmente non mi sono mai sentito “triestino”, ma sindacalista, persona che guarda a sinistra, laico, e poi magari alpinista, ciclista, ecc. Da segretario della Cgil giro tutta la Regione con lo stesso impegno: sono i problemi e la ricerca delle soluzioni, e non le identità, a dettare l’agenda. E, dentro la Cgil, hanno importanza prioritaria la solidarietà e i diritti del lavoro che devono unire la regione, l’impegno a rendere omogenei quelli di cittadinanza, che devono essere uniformi da Muggia a Latisana a Tarvisio e quello a rappresentare i diritti delle minoranze, che non sono solo quella slovena a Trieste o tedesca in Canal del Ferro, ma quelle degli esclusi, dei giovani precari o senza lavoro, degli anziani soli. Poi, certo, ognuno di noi abita in un luogo al quale, inevitabilmente, è affezionato o si affeziona. Mi sono sposato a Udine con una friulana e vi ho abitato per cinque anni. Poi la vita ci ha portati a Trieste. Apprezzo ugualmente il mare e l’ineguagliabile corona di monti che circonda Fusine, la splendida val d’Arzino che si unisce a Sella Chianzutan con quella che sale da Verzegnis e le meravigliose e fertili colline del Collio.
Non credo che la nostra Regione possa dividersi sulle feste o riconoscersi nel moltiplicarsi di esse. Se ne scelga una per tutti. Si celebri ciò che segnò la svolta per l’intera regione e che diede espressione al momento più alto di solidarietà: la ricostruzione dopo il terremoto che cominciò dai primi, drammatici momenti nei quali tante ragazze e ragazzi di Trieste e altrove accorsero a Gemona, Majano, Vito d’Asio e in tanti altri paesi per dare una mano e molti di essi impararono qualche frase di friulano che ancora ricordano. La data non importanza: un giorno vale l’altro. Quello fu il punto più alto di un’autonomia della responsabilità. Se invece continueremo a frammentare le identità e usare la potestà legislativa per istituire feste, vedo un futuro grigio per quell’autonomia, che sarà inevitabilmente fagocitata da contenitori più grandi che possono offrire ai cittadini una più vasta dimensione di scala e maggiore efficienza amministrativa.
Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg