«Manca manodopera? La colpa non è del reddito di cittadinanza»

«Il problema della mancanza di manodopera è reale e la sua causa principale va cercata innanzitutto nella denatalità, ma anche nel basso livello delle paghe e in una certa misura alle carenze del nostro sistema formativo». È quanto dichiara il segretario generale della Cgil Friuli Venezia Giulia Villiam Pezzetta in merito ai dati del sistema Excelsior recentemente diffusi da Unioncamere, che evidenziano l’aggravarsi delle difficoltà nel reperimento della manodopera da parte delle imprese. «Il problema evidenziato dai dati – commenta Pezzetta – riguarda anche le mansioni generiche, ma registra le punte più gravi per le mansioni più specializzate: davanti a questo fenomeno, che non è contingente ma strutturale, è evidente che paghiamo dazio non soltanto alla crisi demografica, ma anche al basso livello medio dei salari e alla scarsa attrattività di interi settori dal punto di vista economico e professionale. Riteniamo invece molto marginale, in particolare nella realtà del Friuli Venezia Giulia, l’impatto negativo del reddito di cittadinanza sull’offerta di lavoro: la scelta del Governo di procedere al taglio progressivo di questa misura avrà come principale effetto una forte espansione delle aree di disagio, senza invece incidere in termini di una maggiore propensione a lavorare».

Una lettura, quella del segretario della Cgil regionale, diametralmente opposta a quella di Giovanni Da Pozzo, presidente della Camera di Commercio di Udine-Pordenone e di Confcommercio Fvg, il quale, intervistato dal Messaggero Veneto, aveva invece applaudito alla scelta del Governo di tagliare il reddito di cittadinanza. «Di fronte a carenze di manodopera così diffuse – commenta ancora Pezzetta – gli 11mila nuclei familiari del Friuli Venezia Giulia che hanno mediamente percepito il reddito di cittadinanza nel corso del 2022 sono davvero poca cosa, tanto più che nel 20% dei casi di tratta di pensionati di cittadinanza, che tra loro esiste una significativa percentuale di inabili al lavoro e che il livello medio delle erogazioni è di 460 euro a famiglia. Davvero pensiamo che questo importo possa costituire una reale concorrenza a un impiego? Non va trascurato, piuttosto, il fatto che il reddito di cittadinanza abbia costituito, in una fase di forte precarizzazione del lavoro e di crescente diffusione del lavoro povero, non solo una fonte di reddito per persone disoccupate, ma anche una forma di sostegno al reddito per gli occupati».

Differente la lettura anche sul capitolo immigrazione. «Concordiamo con Da Pozzo – dichiara Pezzetta – sul fatto che l’apporto degli immigrati sia fondamentale, ma non possiamo continuare a considerarli soltanto “braccia” destinate alle mansioni più basse. Cresce infatti il livello culturale e professionale degli immigrati sia di prima che di seconda generazione, che rappresentano pertanto una risorsa anche per sopperire alle carenze, le più gravi, nelle fasce medio-alte del mercato del lavoro. Se vogliamo rispondere anche alle sfide dell’innovazione e della crescita del nostro sistema produttivo, dobbiamo smettere di ragionare con schemi e sillogismi superati e mettere da parte, una volta per tutte, l’equazione tra immigrazione e lavoro povero».