Referendum: ecco perché la Cgil voterà No. A rischio anche la specialità Fvg

«La Cgil dice no a una riforma costituzionale neocentralista, che risponde alla richiesta di stabilità espressa dai poteri forti, dalla grande finanza e dalle multinazionali, a scapito della democrazia perché altera gli equilibri tra potere esecutivo e potere legislativo garantiti dalla nostra Costituzione». Il segretario regionale Villiam Pezzetta ha sintetizzato così, davanti a duecento delegati convocati al centro congressi Enaip di Pasian di Prato, le ragioni che hanno portato la Cgil a schierarsi per il no al referendum costituzionale del 4 dicembre.
«Pur nel pieno rispetto della libertà di voto individuale e senza partecipare come organizzazione ad alcun comitato – ha spiegato Pezzetta aprendo l’attivo di questa mattina, che ha visto anche la partecipazione del segretario confederale Danilo Barbi – il direttivo nazionale ha votato a larghissima un ordine del giorno con cui la Cgil ha preso chiaramente posizione per il no al referendum. E lo ha fatto nella convinzione che questa riforma, modificando 47 articoli della nostra Costituzione, la stravolga rafforzando in modo inaccettabile i poteri del Governo nei confronti del Parlamento e dello Stato centrale nei confronti delle regioni. Tutto questo sostituendo il bicameralismo perfetto con un nuovo assetto che toglie ai cittadini la possibilità di votare i senatori e complica, anziché renderlo più lineare, il processo di formazione delle leggi, garantendo iter più veloci solo a quelle varate dal Governo».
La Cgil, aggiunge Pezzetta, «guarda con preoccupazione a un voto che, quale che ne sia l’esito, spezzerà il Paese in due, spaccatura che certo non aiuterà a risolvere i gravi problemi che assillano un’Italia ancora stretta nella morsa della crisi». Pur con questa consapevolezza, la Cgil ribadisce le ragioni del no, rafforzate, per il segretario regionale, dalle ripercussioni che avrebbe la riforma sulla rappresentanza e sull’autonomia speciale del Friuli Venezia Giulia. Un tema, questo, affrontato anche dal politologo dell’università di Udine Marco Cucchini, convinto che «l’autonomia speciale, sia pure non intaccata direttamente, finirà comunque per uscirne ridimensionata, dal momento che l’impostazione neocentralista della riforma non potrà non condizionare il percorso di modifica dello statuto regionale».
Quanto agli effetti immediati della riforma, «il passaggio da sette senatori elettivi a due nominati dai partiti, peraltro con metodi ancora da definire, segnerà inevitabilmente, secondo il docente, «un vulnus alla rappresentanza della nostra regione nel nuovo Parlamento, anche se nell’ambito di una riduzione complessiva dei senatori che risponde a un obiettivo in sé condivisibile». Al di là delle ripercussioni sulla nostra regione, le ragioni del no attengono alla «debolezza congenita» di una riforma che come quella del 2001, ha aggiunto Cucchini, non sarebbe comunque destinata ad avere lunga vita, perché «leggi costituzionali di questa portata non possono essere approvate a colpi di maggioranza».