Recovery Plan, appello dai sindacati friulani: la Regione si scuota dall’inerzia
«Per
vincere la sfida del Recovery plan serve un salto di qualità della
politica regionale. Che deve essere capace di coinvolgere tutti gli
attori e le competenze presenti, non ultimo il sistema universitario del
Friuli, per definire assieme le strade da intraprendere per rilanciare
l’economia e rinnovare il sistema di welfare di questa regione e di
questa provincia». E’ quanto scrivono le segreterie territoriali di Cgil,
Cisl e Uil della provincia di Udine in un documento unitario presentato
questa mattina. «L’obiettivo che ci poniamo – hanno spiegato in
conferenza stampa Natalino Giacomini (Cgil), Renata Della Ricca e
Maurilio Venuti (Cisl) e Luigi oggo (Uil) – di avviare una discussione,
un confronto aperto con tutti i soggetti economici, politici,
istituzionali, con il mondo della ricerca e della conoscenza, per
riempire quello che appare sempre di più come un vuoto della politica.
Un vuoto che riguarda in primis la Giunta regionale, che dovrebbe
recuperare la consapevolezza, di fronte ai rischi di declino cui va
incontro il nostro sistema produttivo e del terziario, del fatto che le
risorse del Recovery plan rappresentano l’occasione per un salto di
qualità che il Fvg non può permettersi di fallire».
vincere la sfida del Recovery plan serve un salto di qualità della
politica regionale. Che deve essere capace di coinvolgere tutti gli
attori e le competenze presenti, non ultimo il sistema universitario del
Friuli, per definire assieme le strade da intraprendere per rilanciare
l’economia e rinnovare il sistema di welfare di questa regione e di
questa provincia». E’ quanto scrivono le segreterie territoriali di Cgil,
Cisl e Uil della provincia di Udine in un documento unitario presentato
questa mattina. «L’obiettivo che ci poniamo – hanno spiegato in
conferenza stampa Natalino Giacomini (Cgil), Renata Della Ricca e
Maurilio Venuti (Cisl) e Luigi oggo (Uil) – di avviare una discussione,
un confronto aperto con tutti i soggetti economici, politici,
istituzionali, con il mondo della ricerca e della conoscenza, per
riempire quello che appare sempre di più come un vuoto della politica.
Un vuoto che riguarda in primis la Giunta regionale, che dovrebbe
recuperare la consapevolezza, di fronte ai rischi di declino cui va
incontro il nostro sistema produttivo e del terziario, del fatto che le
risorse del Recovery plan rappresentano l’occasione per un salto di
qualità che il Fvg non può permettersi di fallire».
LA
CRISI. Partendo dalla centralità anche economica del Friuli, che con le
sue 49mila imprese rappresenta il 54% delle aziende attive in regione e
il 57% di quelle manifatturiere, il documento dei sindacati friulani
analizza l’impatto di una crisi che nel 2020 ha portato a richieste di
ammortizzatori sociali per 94 milioni di ore, di cui oltre 40 nella sola
provincia di Udine. «Se da un lato non mancano punti di forza e buoni
segnali di risposta da parte del nostro manifatturiero, questa emergenza
– si legge – ha
anche messo a nudo annosi limiti del nostro tessuto economico e
produttivo: una larga predominanza di aziende di piccola dimensione, un
arretramento della capacità complessiva di penetrazione del nostro
export sui mercati internazionali, una decisa propensione alla riduzione
degli investimenti, un tessuto produttivo che, rispetto al passato,
appare meno radicato sul territorio, visto che molte imprese sono state
acquisite da multinazionali o partecipate da fondi nazionali o
internazionali, le cui prerogative sono l’utilizzo o lo sfruttamento a
breve termine dell’attività produttiva e commerciale». Limiti, questi,
che richiedono politiche industriali «che puntino peculiarità del
territorio e del suo tessuto economico e occupazionale, per contrastare
una progressiva marginalizzazione del Friuli e della regione rispetto ai
grandi assi di sviluppo dell’economia europea e globale».
CRISI. Partendo dalla centralità anche economica del Friuli, che con le
sue 49mila imprese rappresenta il 54% delle aziende attive in regione e
il 57% di quelle manifatturiere, il documento dei sindacati friulani
analizza l’impatto di una crisi che nel 2020 ha portato a richieste di
ammortizzatori sociali per 94 milioni di ore, di cui oltre 40 nella sola
provincia di Udine. «Se da un lato non mancano punti di forza e buoni
segnali di risposta da parte del nostro manifatturiero, questa emergenza
– si legge – ha
anche messo a nudo annosi limiti del nostro tessuto economico e
produttivo: una larga predominanza di aziende di piccola dimensione, un
arretramento della capacità complessiva di penetrazione del nostro
export sui mercati internazionali, una decisa propensione alla riduzione
degli investimenti, un tessuto produttivo che, rispetto al passato,
appare meno radicato sul territorio, visto che molte imprese sono state
acquisite da multinazionali o partecipate da fondi nazionali o
internazionali, le cui prerogative sono l’utilizzo o lo sfruttamento a
breve termine dell’attività produttiva e commerciale». Limiti, questi,
che richiedono politiche industriali «che puntino peculiarità del
territorio e del suo tessuto economico e occupazionale, per contrastare
una progressiva marginalizzazione del Friuli e della regione rispetto ai
grandi assi di sviluppo dell’economia europea e globale».
LE
POLITICHE. Se i settori che oggi pagano maggiormente dazio alla crisi
sono il turismo e il terziario, a incidere negativamente sulle
prospettive del dopo-Covid sono quei limiti strutturali e le carenze
infrastrutturali di una regione dove lo sviluppo del porto di Trieste
non viene accompagnato da un’idea organica di piattaforma logistica al
servizio del tessuto produttivo e del settore turistico. «Il problema –
sostengono Cgil, Cisl e Uil – è quello di rilanciare gli investimenti
pubblici e privati puntando su obiettivi strategici come la
manutenzione del territorio e la prevenzione del dissesto
idro-geologico, una presa in carico degli edifici pubblici, scuole
comprese, per adeguarli al risparmio energetico e alla certificazione
statica, la realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali
che consentano al sistema di concorrere alla pari con le realtà più
avanzate nella competizione globale, l’attivazione di processi in grado
di favorire prospettive nell’economia circolare o lo sviluppo di nuovi
settori abbinati alla Green Economy». E per riuscirci, sottolineano
Giacomini, Della Ricca, Venuti e Oddo, va ricercata «una maggiore
partecipazione delle imprese, delle parti sociali e del mondo
scientifico e accademico alla definizione degli assi prioritari di
investimento pubblico». E per andare in questa direzione, aggiungono,
«risulta determinante la volontà e la capacità politica, oggi assente,
della Giunta regionale.
POLITICHE. Se i settori che oggi pagano maggiormente dazio alla crisi
sono il turismo e il terziario, a incidere negativamente sulle
prospettive del dopo-Covid sono quei limiti strutturali e le carenze
infrastrutturali di una regione dove lo sviluppo del porto di Trieste
non viene accompagnato da un’idea organica di piattaforma logistica al
servizio del tessuto produttivo e del settore turistico. «Il problema –
sostengono Cgil, Cisl e Uil – è quello di rilanciare gli investimenti
pubblici e privati puntando su obiettivi strategici come la
manutenzione del territorio e la prevenzione del dissesto
idro-geologico, una presa in carico degli edifici pubblici, scuole
comprese, per adeguarli al risparmio energetico e alla certificazione
statica, la realizzazione delle infrastrutture materiali e immateriali
che consentano al sistema di concorrere alla pari con le realtà più
avanzate nella competizione globale, l’attivazione di processi in grado
di favorire prospettive nell’economia circolare o lo sviluppo di nuovi
settori abbinati alla Green Economy». E per riuscirci, sottolineano
Giacomini, Della Ricca, Venuti e Oddo, va ricercata «una maggiore
partecipazione delle imprese, delle parti sociali e del mondo
scientifico e accademico alla definizione degli assi prioritari di
investimento pubblico». E per andare in questa direzione, aggiungono,
«risulta determinante la volontà e la capacità politica, oggi assente,
della Giunta regionale.
IL
RECOVERY. A poco più di due mesi dal termine per la presentazione del
Recovery pal da parte dell’Italia, i sindacati si chiedono «quali e
quanti sono i finanziamenti presentati dalla Regione in termini
infrastrutturali, materiali e in termini immateriali, se rientrino nelle
“sei missioni” stabilite oppure se si tratta di una progettualità
scaduta da tempo e raffazzonata all’ultimo momento». Se ci sia stato o
sia previsto, «in termini progettuali e di studio, il contributo delle
Università di Udine e Trieste, e se esiste la volontà politica di
istituire un tavolo di confronto e concertazione con le forze sociali».
L’appello finale è per una svolta della politica regionale, «perché il
Fvg, nonostante le possibilità legislative autonome, non è ancora un
territorio in grado di offrire alle nuove generazioni opportunità
migliori di quelle delle generazioni precedenti».
RECOVERY. A poco più di due mesi dal termine per la presentazione del
Recovery pal da parte dell’Italia, i sindacati si chiedono «quali e
quanti sono i finanziamenti presentati dalla Regione in termini
infrastrutturali, materiali e in termini immateriali, se rientrino nelle
“sei missioni” stabilite oppure se si tratta di una progettualità
scaduta da tempo e raffazzonata all’ultimo momento». Se ci sia stato o
sia previsto, «in termini progettuali e di studio, il contributo delle
Università di Udine e Trieste, e se esiste la volontà politica di
istituire un tavolo di confronto e concertazione con le forze sociali».
L’appello finale è per una svolta della politica regionale, «perché il
Fvg, nonostante le possibilità legislative autonome, non è ancora un
territorio in grado di offrire alle nuove generazioni opportunità
migliori di quelle delle generazioni precedenti».