L’altra faccia della sicurezza

di GIULIANA PIGOZZO, segreteria regionale Cgil FVG
Recentemente il Censis ha reso noti i risultati di una sua ricerca relativa agli infortuni sul lavoro. Nonostante il numero complessivo degli incidenti abbia mostrato un costante e progressivo calo dagli anni ’60 a oggi, scrive il Censis, il numero di eventi gravi e mortali rimane molto alto, sensibilmente superiore alla media europea. E si tratta purtroppo di un bilancio incompleto: dalle statistiche, infatti, restano esclusi gli infortuni che si verificano nell’ambito del lavoro nero e dell’economia sommersa.

La tendenza al calo degli infortuni si è accentuata dopo il 1994, in seguito all’emanazione della legge 626. Non si sono ridotti però in analoga proporzione i casi mortali, che restano purtroppo uno zoccolo duro difficile da scalfire. Come evidenzia lo stesso Censis sulla base dei dati, in Italia ci sono più morti bianche che omicidi: il confronto non va letto come una macabra classifica, ma come un invito ad affrontare da una prospettiva diversa la questione sicurezza.

Dal punto di vista della sicurezza degli ambienti di lavoro, il nostro Paese si colloca in una posizione di retroguardia. Assieme al Sud dell’Europa, un Sud inteso in senso non solo geografico, ma in termini di ritardo dello sviluppo sociale e civile. In Germania, nonostante una popolazione e una forza lavoro sensibilmente più alte rispetto a quelle italiane, si muore sul lavoro molto meno che in Italia: 90 vittime in meno nel 2003, 140 nel 2004, 240 nel 2005, l’anno cui si riferiscono i dati comparati più recenti.

Tutti gli studi più approfonditi evidenziano la forte correlazione tra il volume degli investimenti in sicurezza a l’andamento degli infortuni. La sicurezza non può essere considerata solo un costo, ma come un fattore di innovazione, di qualità, di maggiore produttività: una componente essenziale quindi per migliorare la competitività, seguendo una strada diversa rispetto al semplice taglio dei costi o alle strategie di dumping economico e sociale.

Sembrano considerazioni fin troppo ovvie, dopo anni e anni di discussioni e dopo i tanti provvedimenti legislativi e programmatici approvati a livello nazionale e regionale. Ma la strada da fare in materia di prevenzione e di cultura della sicurezza è ancora lunga. Fondamentale, lo sostiene anche il Censis, il ruolo della concertazione sostanziale con le parti sociali: solo con la cooperazione tra tutte le parti in causa, infatti, si può dare applicazione concreta ed efficace alle leggi, ai contratti e agli strumenti di programmazione. Le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, denunciano invece un eccesso di burocrazia, di vincoli, di sanzioni e hanno scatenato una controproducente polemica sul nuovo Testo Unico, il cui unico obiettivo è invece quello di rafforzare gli strumenti di prevenzione, informazione e formazione sulla sicurezza.

La solerzia con cui il Governo ha deciso di rispondere alle richieste di modifica del testo unico avanzate dagli imprenditori risulta alquanto singolare, di fronte ai ripetuti e autorevoli gridi di allarme sugli infortuni. Se si invoca la repressione ed il ricorso ad una mano pesante per garantire la sicurezza dei cittadini, non si capisce perché un’analoga fermezza non vada applicata per contrastare le morti bianche e tutelare la sicurezza e la salute di milioni di lavoratori.

Il fattore decisivo, la storia recente del pacchetto sicurezza lo dimostra, è sempre la volontà politica: spetta alle istituzioni, a partire dal Governo, contribuire a una svolta culturale in materia di sicurezza. Le leggi e le sanzioni servono a questo: non a colpire tutti indistintamente o ad appesantire i vincoli burocratici sulle imprese, ma a rafforzare la prevenzione e a punire chi mette a repentaglio la sicurezza propria e degli altri. La promessa di revisioni, sconti e condoni non può che sortire l’obiettivo contrario, esattamente come accade sul fronte dell’evasione fiscale.

Sicuramente la sfida della sicurezza sul lavoro richiede parecchie risorse finanziarie e umane: per intensificare i controlli, varare nuovi programmi di formazione e informazione, per colmare le lacune e i ritardi delle stesse amministrazioni pubbliche e dei loro rappresentanti. Introdurre seri criteri di controllo dell’attività amministrativa è indispensabile: non è ammissibile infatti che possano passare più di sette anni, come  è accaduto in questa regione, tra l’emanazione di una delibera della Giunta e la sua attuazione. Il livello degli organici dei servizi di sicurezza del lavoro delle Aziende sanitarie resta ancora al di sotto degli obiettivi previsti nel 2001 e sono quasi completamente inattuati i programmi di ulteriore potenziamento previsti da un’altra delibera, emanata nel 2006. Lo stesso Piano regionale della prevenzione, approvato sempre nel 2006, è rimasto sostanzialmente lettera morta, così come i tanti strumenti di programmazioni stilati di anno in anno sono stati realizzati solo in minima parte. Se l’obiettivo è davvero quello di impedire che si muoia di lavoro, i diritti di chi lavora devono essere al centro delle leggi e della politica. Diversamente i buoni propositi sono solo chiacchiere e le manifestazioni di dolore solo lacrime di coccodrillo.