Fvg, servono politiche industriali

Nel suo intervento in un recente convegno organizzato dalla Cgil sulle prospettive di sviluppo della montagna, il Presidente della Regione ha espresso la sua diffidenza nei confronti delle politiche di piano, affidando a quella senza aggettivi il compito di risolvere i problemi dell’economia e della società man mano che si manifestano.
Non condivido questa concezione che si precluderebbe una funzione di indirizzo rispetto allo sviluppo, di interpretazione delle aspirazioni e delle esigenze della collettività attraverso i criteri della rappresentanza e della mediazione degli interessi. In particolare non la condivido per quel che riguarda le politiche industriali delle quali un sistema in crisi ha assoluto bisogno: dalla recessione non si esce infatti affidandosi ai meccanismi spontanei del mercato che hanno mostrato la corda.
E’ peraltro necessario uscire da semplificazioni ideologiche: Stato contro mercato, dirigismo contro liberalizzazione, e viceversa. Oggi abbiamo contemporaneamente bisogno di più Stato, più mercato e, aggiungo, di più territorio. Sono tanti gli interventi che in questa prospettiva si possono organizzare attraverso le opportune sinergie. Innanzitutto non è più possibile rinviare l’aggiornamento del piano energetico regionale all’interno del quale affrontare in maniera organica la questione dei costi dell’energia, della razionalizzazione delle reti, della diversificazione delle fonti e quella della compatibilità ambientale. Un intervento che può dare spazio a nuove esperienze imprenditoriali e aprire interessanti prospettive occupazionali.
Nel settore delle opere pubbliche è necessario concentrarsi su due emergenze, pur di diversa scala: un programma per la messa in sicurezza dell’assetto idrogeologico della montagna ed un piano di manutenzione straordinaria per l’edilizia scolastica. Entrambi gli interventi costituirebbero un importante volano per l’edilizia, mettendo in circuito risorse ed elevando le potenzialità del territorio. Occorre poi definire una politica regionale dell’alta formazione, soprattutto dopo che i Rettori hanno messo in campo con coraggio il processo di aggregazione delle due Università: esso va assecondato finanziando progetti didattici o di ricerca funzionali alla cultura e all’economia regionali.
Per quanto riguarda la riforma della pubblica amministrazione sarà necessario, dopo tanti annunci, attendere la prossima legislatura. Qui si tratta di intendersi. Ogni ipotesi annunciata da questa Giunta si è esaurita in un elenco di tagli del personale fatti o da farsi senza riguardo alla specificità dei settori, nei quali qualche eccedenza si accompagna a molte sofferenze. Credo invece che il ruolo della pubblica amministrazione sia fondamentale se porta a una maggiore produzione di servizi utili a parità di spesa. Va dunque riorganizzato il sistema, vanno semplificate le procedure e ridotti i tempi, vera emergenza per chi fa o vuol fare impresa. E, di conseguenza, va contrattato con il sindacato un grande piano di formazione che punti a orientare la cultura dei lavoratori dalle procedure agli obiettivi e al risultato.
Infine, accanto al contenzioso giustamente aperto col Governo per il rispetto dello Statuto, la Regione faccia nel frattempo valere le ragioni della specialità in positivo, chiedendo l’apertura di un negoziato sulla fiscalità di vantaggio, fondamentale per un territorio che confina con due Stati che hanno regimi fiscali più favorevoli. A fronte di interventi a favore di tutto il sistema delle imprese è necessario rivedere però meccanismi e strumenti di incentivazione orientandoli secondo criteri molto più selettivi legati a obiettivi precisi: processi di aggregazione, innovazione di processo o di prodotto, sostegno all’esplorazione di nuovi mercati.
In quanto alla questione “produttività”, posta nel suo intervento dal Presidente degli Industriali di Udine, anche noi la giudichiamo fondamentale per la competitività delle aziende e per garantire i livelli occupazionali. Troppo spesso però viene scaricata sui lavoratori e tradotta esclusivamente nell’aumento dell’orario a parità di retribuzione o nella diminuzione delle pause. Lo ha teorizzato e praticato Marchionne pur nella consapevolezza che il lavoro incide sul prodotto finito per il 6/7%. I fatti hanno dimostrato che aveva torto.
Dunque, quella di cui si deve discutere è la produttività totale dei fattori, che presuppone, sì, un’adeguata politica industriale, ma anche un ruolo più attivo del sistema delle imprese, anche nei confronti della politica, e maggiore coraggio negli investimenti. E’ questa la critica che da tempo rivolgo a Confindustria regionale che, dopo aver condiviso un documento programmatico con Cgil, Cisl e Uil su questi temi, di fronte alla mancanza di risposte della Giunta si è acconciata al silenzio preferendo raccogliere quanto la Giunta decideva di elargire, attestandosi spesso su obiettivi corporativi. Perciò Luci, prima di affidare al “Messaggero” la propria delusione, peraltro giustificata, avrebbe dovuto manifestarla negli organismi dirigenti della propria Associazione.

Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg