Commercio, più contrattazione sugli orari

Il sindaco di Trieste è uomo istintivo e sanguigno. Dice sempre quello che pensa. Ma non sempre pensa a quello che dice. Dichiarare di  vergognarsi di essere italiano per una vicenda giurisprudenziale e lanciare invettive contro i giudici del Tar mi pare francamente esagerato. Se proprio vuole trovare una ragione per vergognarsi, ce n’è un ricco campionario a livello nazionale, basta sfogliare i giornali.
Perché il sindaco non ha espresso altrettanta sanguigna vitalità quando Tondo, in campagna elettorale, ha fatto della revisione della legge sul commercio un caposaldo del suo programma? Forse era distratto. Ma forse allora quella legge andava bene per raccogliere consenso e, una volta ottenutolo, non lo si ritiene più necessario fino alle prossime regionali.
La legge prevede la possibilità di aprire 29 domeniche su 54, dunque per più della metà dell’anno. Inoltre vi è la deroga per gli esercizi sotto i 400 mq e le aperture nei centri storici sono libere. Giocando su questi tre elementi ogni azienda avrebbe potuto fare scelte oculate. Rispediamo al mittente i ricatti occupazionali, le cui motivazioni variano di volta in volta (dov’ è il paventato disastro provocato dalla concorrenza slovena?). L’arroganza di quegli imprenditori fa evidentemente velo alla percezione della crisi, che, senza una tutela del potere d’acquisto, porta al calo dei consumi: sembra quasi che essi credano che i lavoratori risparmino durante la settimana per spendere la domenica. In quanto ai turisti, è poco credibile che la domenica vadano fare acquisti in periferia. Anzi, come spesso riportato dai quotidiani, capita che non trovino negozi aperti in centro. 
Se Dipiazza, con la sua proverbiale intraprendenza, vuole organizzare manifestazioni “di piazza”, sappia che accettiamo la sfida e ci sentiamo competitivi. Se invece, passata la rabbia, il sindaco e gli imprenditori vogliono ragionare, siamo sempre disponibili a farlo. Il modello è semplice e praticato dappertutto: facciamo, azienda per azienda, accordi per una maggiore apertura durante la settimana contrattando l’organizzazione del lavoro e prevedendo una turnistica confacente alle esigenze e collocazioni fisiche dei singoli esercizi.
Perciò, basta minacce di licenziamenti e più attenzione alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori, che hanno diritto ad una propria organizzazione familiare che tenga conto delle necessità di aggregazione delle famiglie e delle giornate di apertura dei servizi. A meno che il vero scopo di questi alti lai non sia la volontà di risparmiare sul costo del lavoro  assumendo per il fine settimana con paghe da fame, per non affrontare il problema dei turni del personale assunto stabilmente con le maggiorazioni previste dal contratto nazionale.
Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg