Reddito di base e immigrazione, gli errori della Giunta Tondo
(di Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg)
Abbiamo sempre ritenuto quella sul reddito di cittadinanza e quella sull’immigrazione due buone leggi. Ci eravamo tuttavia resi disponibili, assieme a Cisl e Uil, ad un confronto che partisse dai problemi ai quali quelle leggi cercavano di dare soluzione. Da un lato, dunque, inserimento al lavoro, sostegno a situazioni di espulsione dal mercato del lavoro, difficoltà nelle quali si trovano soprattutto le donne rispetto a fenomeni crescenti di divisione familiare, risposta al problema delle povertà. Dall’altro, le complesse problematiche degli immigrati, del loro inserimento lavorativo, del sostegno all’associazionismo, delle grandi questioni del ricongiungimento familiare e della scolarizzazione.
Ci pareva di aver colto un interesse del Presidente della Regione al confronto. Poi gli emendamenti soppressivi delle due leggi lo hanno reso impossibile, per mancanza – come dire – di materia prima e cioè degli elementi di merito su cui si fonda ogni discussione. E’ questa la strada che la Giunta ha scelto, abrogando le leggi e pensando forse, in questo modo, di abrogare anche i problemi. Ma essi sono poco sensibili alle scelte della maggioranza e si ripropongono con la forza dei fatti. Così l’abrogazione della legge sull’immigrazione congela i fondi senza una strategia ed obiettivi definiti.
Ma forse, per questa maggioranza, non ce n’è bisogno. Perché il problema dell’immigrazione viene traguardato attraverso la lente deformante della clandestinità e del suo diretto rapporto con la sicurezza dei cittadini. Non per il contributo che gli immigrati danno alla società regionale. La quale è composta – secondo dati dell’ annuario statistico dell’immigrazione che si riferiscono al 2006 – per il 6% da residenti stranieri (circa 72.000). Di questi, circa 40.000 lavorano (rappresentando l’8,7% del mercato del lavoro regionale)e il 61,6% lo fa con un contratto a tempo indeterminato, a dimostrazione del fatto che il contributo dei lavoratori immigrati corrisponde ad esigenze strutturali del sistema economico. La manodopera straniera va principalmente a ricoprire quei lavori per i quali non esiste adeguata disponibilità di lavoratori italiani per la scarsa gratificazione e considerazione sociale che rende molto difficile sostituire i lavoratori in uscita con giovani della nostra regione.
In ogni caso, secondo dati raccolti da una ricerca della Caritas lo scorso anno, tutte le province si collocano nella fascia minima di disoccupazione complessiva, con percentuali che vanno dal 2,6 di Pordenone al 4,9 di Gorizia. Il reddito pro capite è il più alto d’Italia, con 10.596 euro. Basso l’indice della devianza, ovvero la percentuale di cittadini stranieri denunciati sul totale dei soggiornanti (6,9%). Significativa la stabilità della residenza, che per il 70% è vicina ai 10 anni, e l’incidenza dei ricongiungimenti che è la più alta in Italia dopo l’Abruzzo, con il 32,7% dei residenti sul totale dei soggiornanti Altrettanto significativo è il contributo all’inversione del trend demografico: senza l’apporto dei lavoratori migranti vi sarebbero stati in Italia 650.000 abitanti in meno dal 1993 al 2006. In Regione l’apporto delle donne immigrate è particolarmente percepibile a Trieste dove, dopo 20 anni, si è invertita la tendenza è si è passati da 1,19 a 1,35 figli per donna. Sempre a Trieste vi è la seconda performance in Italia per matrimoni misti: il 16% del totale.
Come si vede, un quadro di inserimento stabile ed organico, al quale la legge regionale 5/2005 cercava di fornire un supporto che favorisse i processi di inserimento nel società regionale. Ma la maggioranza preferisce evidentemente sostituire ai dati ed ai ragionamenti emotività ed irrazionalità. Il capogruppo della Lega in Consiglio regionale è arrivato ad affermare che agli immigrati clandestini andrebbero prestate cure sanitarie solo se in pericolo di vita e il presidente della Provincia di Udine ha contestato i ricongiungimenti familiari perché sarebbero legati al furbesco obiettivo di usufruire dei nostri servizi sanitari. Alla luce di queste argomentazioni par di capire che la vera ragione dell’abrogazione della legge sia ideologica. Il guaio è che quell’ideologia sembra essere fortemente caratterizzata da elementi di razzismo. Se così non fosse, la Giunta non avrebbe che da convocare le organizzazioni sindacali e le associazioni del settore per ridefinire un quadro legislativo coerente. Saremmo pronti a riconoscere di esserci sbagliati.