Sanità Fvg, 7 anni di fallimenti. L’assessore se ne assuma la responsabilità

Dopo sette anni ininterrotti alla guida della sanità del Friuli Venezia Giulia, l’assessore Riccardi è costretto ad ammettere pubblicamente che il sistema ha delle gravi carenze. È arrivato il momento di fare i conti con la realtà e assumersi le proprie responsabilità.
La legge regionale 22 del 2019 è rimasta in gran parte lettera morta. L’equità d’accesso, uno dei principi cardine della riforma, è stata tradita: i tempi di attesa continuano ad allungarsi e le disuguaglianze crescono, colpendo soprattutto chi ha meno mezzi. Chi è in difficoltà economiche, in Friuli Venezia Giulia, oggi si cura meno e più tardi.
Anche la centralità della persona, altro slogan della riforma, è diventata una chimera. La presa in carico dei pazienti si è disintegrata in prestazioni isolate non coordinate tra loro, spesso appaltate al privato, senza alcuna visione integrata del percorso di cura.
Il terzo settore, le associazioni e le realtà no profit, che in passato rappresentavano un presidio importante per il territorio, sono sempre più marginali. Al loro posto ha preso piede un’espansione del privato, sempre più presente, anche in mancanza dei rigorosi standard di accreditamento e controllo che sarebbero dovuti. La sussidiarietà orizzontale sviluppata tramite le iniziative della comunità e delle associazioni, che avrebbe dovuto essere una ricchezza, è stata annullata e cancellata. La cosiddetta “presa in carico integrata sociosanitaria” si è trasformata in un’illusione. I servizi sociali e gli Enti locali sono stati letteralmente espulsi dal sistema o addirittura soppressi. I Piani di Zona, vale a dire gli accordi di coordinamento tra i Distretti socio-sanitari e i Servizi sociali dei Comuni, non sono più applicati.
Gravissima, infine, è la gestione del personale, citata nella legge come «promozione delle competenze e della formazione delle risorse umane». Invece di valorizzare i professionisti, si è lasciato che medici, infermieri e operatori sanitari si dimettessero a centinaia, stremati da ritmi spesso insostenibili e da una totale assenza di riconoscimento e di confronto professionale. Il ricorso a cooperative, appalti e prestazioni esterne è proposto con sempre maggior forza, peggiorando la qualità del servizio e alimentando precarietà. Non è previsto un piano straordinario di assunzioni.
A completare il quadro di un fallimento politico e gestionale si somma un elenco di gravi responsabilità che l’assessorato alla Salute continua a ignorare. Il ruolo degli enti locali, che dovrebbe essere centrale nella costruzione della sanità territoriale, è stato sostanzialmente azzerato. Un finto piano delle cure territoriali è stato costruito senza mai coinvolgere realmente la medicina generale, i Comuni o il volontariato, ignorando quanto prescritto dal Dm 77, che invece impone il confronto e la partecipazione di tutti gli attori del sistema.
Nel frattempo, si procede alla demolizione sistematica di pezzi interi dei servizi ospedalieri, senza alcun atto programmatorio serio e trasparente. I Distretti, che un tempo rappresentavano il fulcro e la regia della sanità di prossimità, sono stati svuotati di competenze e risorse. I servizi di salute mentale, sia per gli adulti che per l’infanzia, sono stati drasticamente ridotti, lasciando territori e famiglie senza risposte.
Gravissimo anche il totale azzeramento del confronto democratico: l’assessorato ha chiuso ogni canale di dialogo con le forze sociali, le associazioni dei cittadini e persino con gli stessi professionisti del sistema sanitario regionale. La protesta si è fatta sentire con forza, con la grande e partecipata protesta del 4 aprile a Trieste, con migliaia di cittadini e cittadine provenienti da tutta la regione presenti in corteo per difendere la sanità pubblica.
In questo contesto, il ricorso al privato viene proposto come unica via d’uscita, come soluzione salvifica di fronte al progressivo disfacimento della sanità pubblica. Una narrazione che, secondo la Cgil, rappresenta il segno più evidente dell’incapacità politica di gestire la cosa pubblica.
Come se non bastasse, l’assessore ha recentemente svilito e mortificato anche il ruolo dei sindaci, negando loro il diritto-dovere di partecipare alla programmazione sanitaria dei territori e alla verifica del funzionamento del sistema. Un atteggiamento che la Cgil giudica inaccettabile e sintomo di una visione autoritaria e fallimentare.

Michele Piga, segretario generale Cgil Fvg